“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti. “Il gelsomino”, Ottone Rosai (olio su tela, 1938 ca.)

Per quanti di voi saranno passati dalla stazione di Santa Maria Novella sarà capitato magari di entrare all’interno della Libreria Feltrinelli, e magari si sarà accorto della presenza, sopra le casse, di due grandi quadri che rappresentano un classico paesaggio delle nostre colline. Di quelle antiche e prosperose colline che si distendono intorno Firenze; belle, rotonde e di una certa altezza, punteggiate di olivi, vigne, cipressi, di casolari raggruppati come una mandria, e campi coltivati ordinatamente e distribuiti come pezze di altro colore tra le solide terrazze. Questi due dipinti così monumentali sono opera di Ottone Rosai che con Vasco Pratolini ha reso immortale Firenze, così com’era nei primi decenni del XX secolo, con le sue architetture, le sue piazze, i ponti e le vie dai bei nomi, spazi metafisici e popolari. Rosai è come un morbido macigno. Basta guardare i suoi autoritratti. Vuol dare l’idea di un uomo di umore nero, un introverso, attaccabrighe, un burbero, anche violento, ma poi vi si legge una qual tenerezza e bontà d’animo che è di un uomo all’antica, intelligentissimo, sensibilissimo, ma del popolo.

Rosai nasce a Firenze il 28 aprile del 1895. E di Firenze è forse il più grande cantore.

Si forma all’Accademia di Belle Arti, dove diventerà professore nel dopoguerra. Vive la sua giovinezza in oltrarno, nel quartiere di Santo Spirito, in quella via Toscanella resa celebre dai suoi dipinti. Decisivo è l’incontro con i Futuristi, anche se Rosai ha un altro spirito, cerca un diverso linguaggio figurativo, lento e solido come le parole e i sentimenti più antichi degli uomini sulla terra. Il suo sarà un primitivismo di matrice umanistica toscana, quella della pittura del trecento e quattrocento. Con la sua arte ci ha raccontato la vita urbana, quella dei mercati, delle trattorie e delle bettole, delle partite a carte e di toppa, dei concertini, selezionando per strada tipi fiorentini straordinari e veridici, i suoi celebri “omini”. I suoi rapporti con il fascismo, cui aderì inizialmente per poi prendere le distanze, furono difficili e complessi. L’evento che più di ogni altro ha però segnato la vita di Rosai è tuttavia la morte del padre, causa di depressione e di profonda tristezza, sentimenti che non abbandoneranno mai l’artista. Rosai è stato anche un notevole scrittore, i suoi romanzi le sue lettere, hanno lo stesso calore e timbro della sua pittura. Basta qui ricordare Via Toscanella e Libro di un teppista. Una veridicità non banale né ingenua, ma solida e moralmente vicina alla verità del popolo, ai sentimenti universali che restano nel passare delle stagioni e degli stravolgimenti.

Il Gelsomino è tutto questo. E’ come un canone che ritorna variato a seconda del punto in cui la veduta è stata fermata da Rosai. La via si trova sotto Poggio Imperiale, si snoda parallela a Via Senese, ed e’ praticamente immutata. Dietro un muro, s’intuiscono una serie di orti e giardini, in alto una bella villa, un caseggiato, costruito con quella sapienza architettonica semplice che non viene mai a noia. Chiunque guarda questo dipinto può dire senza sbagliarsi: “ Questa è Firenze, la Toscana”. Rosai in questi giorni può essere il giusto viatico per girare da casa, senza uscire, per riconsiderare certe vie e angoli di Firenze. Via Rimaggina, via San Leonardo, dove era lo studio del pittore, Via delle Lame, Porta Romana, San Miniato al Monte, via di Santa Margherita a Montici, le case del Madonnone, la chiesa di Candeli. Passeggiate da fare a piedi assaporando l’aria, magari verso il tramonto, quando saremo di nuovi per strada tutti assieme un po’ più sereni e fiduciosi.

Copyright Sergio Risaliti
Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini.
Montaggio video: Antonella Nicola

Posted on 21 Luglio 2020

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Posted on 21 Luglio 2020
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti “Cavallo”, di Marino Marini (bronzo, 1937) Al museo Novecento, una sezione della collezione permanente s’intitola Cavalleria. La scelta del titolo è stata ovviamente motivata dal soggetto ricorrente nelle opere presentate: il cavallo, da solo o con il cavaliere. Ne sono parte, il Nitrito in velocità di Fortunato Depero, i Cavalli Marini, una ceramica dipinta di Lucio Fontana e Cavallo, un bellissimo bronzo di Marino Marini del 1937 circa. La nostra scultura di Cavallo si staglia potentissima nello spazio assumendo quasi il ruolo magico di protettore, di guardiano. Esprime forza e fierezza, fedeltà e grazia, energia e indomita libertà. Sembra vivere da sempre, prima delle civiltà classiche, figlio di un tempo anteriore, di comunicazione a pelle tra uomo e animale, consumato in spazi liberi, nel bello e brutto tempo, in pace e in guerra. Porta su di se la fatica con grazie ed eleganza suprema. Sta immobile sulle sue esili, ma salde zampe, pronto a nitrire o scattare prima al trotto e poi fiero e felice al galoppo. Parlare dell’autore, Marino Marini, è parlare di uno dei grandi dell’arte moderna non solo italiana ma internazionale. Marini, nato a Pistoia e morto a Viareggio, è ben conosciuto in tutto il mondo, quale grandissimo scultore di figure arcaiche e modernissime a un tempo. Celebri le sue Pomone, simboli di fecondità primitiva e inconscia, i suoi Miracoli, ultime meditazioni sulla drammaticità della storia e dell’arte, i suoi Cavalieri, protagonisti di una visione dialettica natura-tecnologia, uomo-macchina, e pure per i suoi equilibristi, giocolieri e ballerine, figure del circo e del teatro con le quali Marino dialoga con un tema caro al primo novecento di Picasso e dei Ballets Russi, di Severini e Genet. Non possiamo però non citare anche la grande produzione ritrattistica, che fa di Marino Marini uno dei grandi protagonisti del genere. La vita di Marino si è spesa tra Firenze, perché in gioventù studia all’Accademia di Belle Arti, Parigi dove si reca giovanissimo nel 1919 e dove conosce l’opera di Maillol e Bourdelle, di Rodin, oltre a quella di Picasso; in seguito Monza, dove è chiamato a insegnare da Arturo Martini alla scuola d’arte della Villa Reale. La conoscenza di Martini è stata di fondamentale importanza per Marini, per capire il linguaggio arcaico e quello etrusco, la poesia e l’intellettualismo nella scultura. Dagli inizi degli anni quaranta e per tutta la sua vita, Marini vivrà a Milano salvo nuovi soggiorni a Parigi, viaggi in America e nel Nord Europa, e spesso a Forte del Marmi, dove passerà molto tempo tra cave e fonderie e a contatto con la natura e il mare. Il Cavallo, esposto al Museo Novecento, è sempre lì in posa, elegantissimo nelle sue forme, nell’ampio volume del corpo, alleggerito con una linearità di profilo che dona grazia all’animale. Fuori dalle teorie e dalle diatribe linguistiche, dai rigidi formalismi di certe avanguardie, Marini va cercando una forma che sia colma di pensieri antichi, di esperienze primordiali, di una grazia superiore che è poi il dono che fa la poesia alle invenzioni artistiche. Così, il Cavallo di Marini, vive fuori del tempo, ha qualcosa di divino; eppure è di questo mondo, ha vissuto con noi da sempre. E’ una presenza che esprime nelle forme plasmate con delicatezza e sicurezza anatomica tutta la sua naturale libertà e alterità, eppure è figura plastica fortemente umanizzata. Per Marini l’animale partecipa della vita dell’uomo da tempi remoti, prima della storia, e dell’uomo rispecchia le emozioni, ne conosce i moti segreti dell’anima. Passando in galleria, è veramente difficile trattenersi dallo sfiorare quel corpo di bronzo che respira, che trema di sensazioni a fior di pelle e che risente di vita vissuta e di contatti spirituali tra esseri così fraterni, anche se così diversi da sempre. E’ intoccabile non solo per ragioni di sicurezza e conservazione, ma per la sua aristocratica superiore provenienza. Se ne sta li, come sempre anche in questi giorni, nel museo che è chiuso a tutti, come guardiano fedele che vi aspetta. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
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