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La Firenze di Dolce & Gabbana rinata o usata?
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Firenze rinata oppure usata? E' la domanda che ci poniamo puntualmente  ad ogni evento che vede la presenza in città di grossi nomi della moda o dell'industria che utilizzano un pezzo di città come - per usare il loro linguaggio - location per i loro eventi. I sostenitori di queste iniziative sono spesso istituzionali o appartenenti a categorie che sperano di trarre dall'evento un beneficio diretto. I detrattori sono invece intellettuali o politici o soggetti - per usare il loro linguaggio - della società civile che accusano le istituzioni di svendere la città.  Se fossi il Sindaco devo ammettere che avrei anche io la preoccupazione di tenere sempre la città sul palcoscenico mondiale, di darle lustro, visibilità, di raccontarla come una città aperta agli investimenti ed agli eventi, anche mondani.  C'è una cosa importante che va ricordata: ci sono centinaia di fiorentini che in questi giorni di eventi D&G sono tornati a lavorare di nuovo per la prima volta da mesi. Catering, allestimenti, trasporti, servizi, etc. etc. Va poi sottolineato il fatto che questi eventi hanno significato tanto il comparto moda e artigianato - importantissimi per la nostra città, ben più del famoso turismo. Comparto drammaticamente fermo da mesi che si è ritrovato ad avere uno spot da 5 milioni pagato da un privato. Va bene. D'altra parte, le ragioni dei detrattori sono comprensibili. Perché? Forse perché se gli eventi D&G di questi giorni si fossero svolti durante i mitici anni '80, la città se ne sarebbe accorta e non avrebbe vissuto questi giorni con un profondo sentimento di esclusione. Le feste, per capirci (Covid permettendo) si sarebbero svolte in piazza. L'impressione che se ne trae - legittima e discutibile allo stesso tempo - è che spesso la città venga usata come un grade set, un palcoscenico per qualcuno che in fondo, alla città - fatti salvi i giorni dell'evento - lascia poco o niente. Sia in termini economici che di ricadute sulle attività produttive della città stessa. Alla fine sembra che al banchetto del grande evento apparecchiato dalla discutibilissima nobiltà fiorentina, noi, il popolo, se ne rimanga sempre esclusi.  In ogni caso, fino al prossimo evento, il dibattito resta aperto. r.p. P.S. A proposito di esclusione, l'idea di escludere la stampa locale dalle conferenze stampa non è stata proprio geniale - ma è noto che su questo versante D&G non hanno mai brillato. Sentiamo le voci raccolte da Monica Pelliccia
"Il gelsomino", Ottone Rosai
7:46
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti. “Il gelsomino”, Ottone Rosai (olio su tela, 1938 ca.) Per quanti di voi saranno passati dalla stazione di Santa Maria Novella sarà capitato magari di entrare all’interno della Libreria Feltrinelli, e magari si sarà accorto della presenza, sopra le casse, di due grandi quadri che rappresentano un classico paesaggio delle nostre colline. Di quelle antiche e prosperose colline che si distendono intorno Firenze; belle, rotonde e di una certa altezza, punteggiate di olivi, vigne, cipressi, di casolari raggruppati come una mandria, e campi coltivati ordinatamente e distribuiti come pezze di altro colore tra le solide terrazze. Questi due dipinti così monumentali sono opera di Ottone Rosai che con Vasco Pratolini ha reso immortale Firenze, così com’era nei primi decenni del XX secolo, con le sue architetture, le sue piazze, i ponti e le vie dai bei nomi, spazi metafisici e popolari. Rosai è come un morbido macigno. Basta guardare i suoi autoritratti. Vuol dare l’idea di un uomo di umore nero, un introverso, attaccabrighe, un burbero, anche violento, ma poi vi si legge una qual tenerezza e bontà d’animo che è di un uomo all’antica, intelligentissimo, sensibilissimo, ma del popolo. Rosai nasce a Firenze il 28 aprile del 1895. E di Firenze è forse il più grande cantore. Si forma all’Accademia di Belle Arti, dove diventerà professore nel dopoguerra. Vive la sua giovinezza in oltrarno, nel quartiere di Santo Spirito, in quella via Toscanella resa celebre dai suoi dipinti. Decisivo è l’incontro con i Futuristi, anche se Rosai ha un altro spirito, cerca un diverso linguaggio figurativo, lento e solido come le parole e i sentimenti più antichi degli uomini sulla terra. Il suo sarà un primitivismo di matrice umanistica toscana, quella della pittura del trecento e quattrocento. Con la sua arte ci ha raccontato la vita urbana, quella dei mercati, delle trattorie e delle bettole, delle partite a carte e di toppa, dei concertini, selezionando per strada tipi fiorentini straordinari e veridici, i suoi celebri “omini”. I suoi rapporti con il fascismo, cui aderì inizialmente per poi prendere le distanze, furono difficili e complessi. L’evento che più di ogni altro ha però segnato la vita di Rosai è tuttavia la morte del padre, causa di depressione e di profonda tristezza, sentimenti che non abbandoneranno mai l’artista. Rosai è stato anche un notevole scrittore, i suoi romanzi le sue lettere, hanno lo stesso calore e timbro della sua pittura. Basta qui ricordare Via Toscanella e Libro di un teppista. Una veridicità non banale né ingenua, ma solida e moralmente vicina alla verità del popolo, ai sentimenti universali che restano nel passare delle stagioni e degli stravolgimenti. Il Gelsomino è tutto questo. E’ come un canone che ritorna variato a seconda del punto in cui la veduta è stata fermata da Rosai. La via si trova sotto Poggio Imperiale, si snoda parallela a Via Senese, ed e’ praticamente immutata. Dietro un muro, s’intuiscono una serie di orti e giardini, in alto una bella villa, un caseggiato, costruito con quella sapienza architettonica semplice che non viene mai a noia. Chiunque guarda questo dipinto può dire senza sbagliarsi: “ Questa è Firenze, la Toscana”. Rosai in questi giorni può essere il giusto viatico per girare da casa, senza uscire, per riconsiderare certe vie e angoli di Firenze. Via Rimaggina, via San Leonardo, dove era lo studio del pittore, Via delle Lame, Porta Romana, San Miniato al Monte, via di Santa Margherita a Montici, le case del Madonnone, la chiesa di Candeli. Passeggiate da fare a piedi assaporando l’aria, magari verso il tramonto, quando saremo di nuovi per strada tutti assieme un po’ più sereni e fiduciosi. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
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