L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti. “Arturo Martini, L’Attesa o Susanna” (Pietra del Finale 1935 ca.)

Una giovane, completamente nuda, dirige lo sguardo lontano da sé. La testa è leggermente reclinata all’indietro. Sta guardano in aria, verso un orizzonte distante. Cosa osserva? Cosa aspetta questa donna, dalla fisicità ancora acerba e dalla posa monumentale? Ha forse avvertito un suono nel cielo, magari presagisce l’arrivo di un messaggero, il transitare di un segno luminoso, l’accendersi del manto stellato? Lo sguardo è concentrato. La giovane donna sta contemplando. È immagine stessa della contemplazione femminile. Con lei guardiamo oltre noi stessi, verso qualcosa che colma di stupore, meraviglia, incanto. Intorno e dentro di lei c’è molto silenzio. Quell’inclinazione della testa, in effetti, può far pensare che la ragazza stia riflettendo su qualcosa che sorge nel proprio intimo. Sensazioni che provocano un certo sottile turbamento. O diversamente è solo un ricordo che torna a farsi nitido adesso, nell’attimo della sospensione dello sguardo, come quando restiamo, instupiditi, in attesa.

La giovane contempla, medita, scorge, presagisce. Nulla ci distrae dal suo stato d’animo. L’opera di Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947) colpisce per le sue fattezze quasi primitive, ma allo stesso tempo accarezza l’animo con una dolcezza infinita, in perfetta sincronia con il suo titolo, L’attesa o Susanna, ovvero giglio, simbolo di purezza. Nel racconto biblico, Susanna infatti non cede alla violenza di due giudici anziani, due guardoni, che Daniele, il profeta, riesce a smascherare. Susanna spoglia la menzogna, vince il bruto desiderio perché è forte e salda nella sua nudità e purezza. Immobile, ma attraversata da una luminosa silente vitalità, Susanna è in unione con l’infinito e l’universale. L’universale che per Martini “è qualche cosa che sta fuori dalla volontà, dalla ragione e soprattutto dal contegno; è una specie di inettitudine simile a quella dell’albero, che nel nascere, nel crescere è sempre perfetto”. Diremmo perfetto come l’opera d’arte.

Copyright Sergio Risaliti
Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini.
Montaggio video: Antonella Nicola

Posted on 21 Luglio 2020

You may also like

“Paesaggio”, di Osvaldo Licini
7:32
Posted on 21 Luglio 2020
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti.“Paesaggio”, Osvaldo Licini (olio su tela, 1928) Osvaldo Licini studia all’Accademia di Bologna, dove incontra Morandi e Tozzi. Dell’incontro con il grande pittore di nature morte e paesaggi, resta qualcosa nei suoi dipinti, soprattutto nel Paesaggio conservato al Museo Novecento. Dopo l’Accademia partecipa alla grande guerra, è ferito, ricoverato e poi congedato. Si avvicina al movimento futurista ma il suo animo è diverso, di un’immaginazione più lirica, meno convulsa. Durante la convalescenza raggiunge i genitori a Parigi e qui entra in contatto con Modigliani, Picasso, Cocteau, Soutine e si lega al gruppo degli italiani a Parigi, i così detti metechi, di stanza nella capitale delle avanguardie: De Chirico, Severini, De Pisis, Savinio e Tozzi. Fondamentale sarà per Licini assimilare dal vero la lezione pittorica di Cézanne, Matisse, Van Gogh e quella degli impressionisti e dei grandi maestri dell’ottocento che poteva ammirare e studiare al Louvre. Nel frattempo ha sposato una giovane pittrice svedese Nanny Hellströmm, e con lei rientrerà in Italia per stabilirsi definitivamente nel suo paese di origine, Monte Vidon Corrado, in vicinanza di Fermo nelle Marche. Da lì, comunque in una posizione defilata, riuscirà a restare in contatto con il mondo dell’arte italiana e internazionale. Alla metà degli anni trenta ecco un altro passaggio cruciale, Licini varca la soglia dell’astrazione. Entra in contatto con gli artisti della Galleria del Milione, con Fontana, Melotti, Rho, Reggiani e con loro espone a Torino nella prima mostra degli astrattisti organizzata da Casorati. Allo stesso tempo e con nuovo slancio torna a frequentare in brevi viaggi Parigi e si mette in contatto con il gruppo di Abstraction-Creation e conosce Kandinsky, Magnelli, Kupka. A questo punto arriva una nuova svolta, suscitata anche dal rapporto intellettuale e di amicizia con Franco Ciliberti, filosofo e storico delle religioni. Abbandonato il linguaggio astratto, più geometrico-analitico, apre al mondo degli archetipi e delle cifre simboliche, pur restando fedele a un canone aniconico. I suoi lavori, pregni di un sentimento magico dello spazio e dei segni, si popolano di figure mitiche e poetiche, e Licini si mette a creare dei cicli, quasi delle saghe e favole visive, in cui ricorrono certe figure come Olandesi volanti, Amalassunte e Angeli Ribelli. La tela Paesaggio è di una bellezza struggente. Immortala un’ora speciale, un momento di epifania indimenticabile della natura, e tutta la risonanza sentimentale che quest’apparizione porta con sé. Il paesaggio è fatto di niente e di tutto, alberi, colline, cielo, una casa è l’unico elemento che certifica l’esistenza umana. Sicuramente un paesaggio dei suoi luoghi natii. C’è qualcosa di Leopardi, c’è qualcosa ancor più di Lucrezio, c’è qualcosa della musica per pianoforte di Debussy. Sembra di rivivere la sensazione di calore e di freschezza di una giornata passata in campagna da ragazzino con le maniche corte, in mezzo ai campi e negli orti con la pelle percorsa da brividi per tutta la bellezza che ci circonda e ci appare come un angelo in un’annunciazione. Tempo, indimenticabile, in cui si è in sintonia con l’invisibile materia di cui è fatta la poesia della luce, quella particolare epifania luminosa del mondo che dona alle cose una diversa momentanea forma di esistenza. E’ frutto di una sensibile percezione, come di chi ancora guardando, osservando, resta preso nell’incanto, avviluppato nella sottile rete pulviscolare di atomi luminosi che si muovono dovunque. Il dipinto restituisce perfettamente il sentimento di quei momenti, quando si contempla il vibrare leggero dei fili d’erba e delle fronde, le ombra che si amalgamo con la calce colorata delle mura di casa, l’apparire del cielo che domina con una consistenza soffice le lontane colline, le basse montagne fittamente ricoperte di verde. Avvicinandosi alla tela si nota il modo di procedere del pittore. La realtà delle cose è restituita con piccole pennellate accostate una all’altra con variazioni tonali armoniose e calme di colore, ridotti alle qualità del verde, dell’ocra, del grigio, del rosa e del celeste. Sono gli stessi colori insostituibili della tavolozza di Morandi. Si avverte, nella composizione visiva di questo Paesaggio, una musica, una sonorità un canto sottostante. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
L’ultima testimonianza di Liliana Segre a Rondine, Cittadella della pace
3:51
Posted on 9 Ottobre 2020
Dalla separazione dall'amato padre, all'orrore del campo di concentramento alla scelta di essere testimone contro ogni forma di odio e razzismo. Dopo 30 anni di impegno civile nelle scuole, la senatrice a vita passa il testimone agli studenti e alle studentesse.
“Case popolari: il sociale che fa rete!” – Puntata 09
15:27
Posted on 4 Ottobre 2019
Case popolari: il sociale che fa rete! In questa puntata "Gestione dipendenze e ludopatie". Conduce Chiara Brilli Ospiti: Luca Talluri, Presidente Casa SpA Luisa Rocchini, Ufficio Gestione Sociale di Casa SpA Dott.ssa Elisa Balducci, Assistente Sociale, Azienda USL Toscana Centro Daniela, responsabile autogestione Firenze “Case popolari: il sociale che fa rete!” è un reportage dagli immobili di edilizia residenziale pubblica di Firenze. Un progetto di narrazione di servizi e storie per far conoscere l’Ufficio Gestione Sociale di Casa SpA, un nuovo strumento per fare emergere e risolvere i fenomeni di povertà, marginalità e disagio sociale all’interno del patrimonio di edilizia residenziale pubblica ed edilizia sociale.
Page 4 of 438
0
Would love your thoughts, please comment.x