conferenza stampa MAI IN SILENZIO – IL CONCORSO

Posted on 10 Marzo 2018

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“San Francesco predica agli uccelli”, di Filippo de Pisis
8:56
Posted on 21 Luglio 2020
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti.“San Francesco predica agli uccelli”, Filippo de Pisis (olio su tela, 1931 ca.) Filippo De Pisis vuol vivere una vita frenetica, nervosa, di intellettuale a 360 gradi, dedita tanto all’arte e alla poesia quanto all’eros e al sesso. Tutti questi livelli si intrecciano e rifioriscono nella sua pittura, che nello stile risente della sua ipersensibilità e tensione nervosa, seppur controllata, in una distaccata aristocratica relazione con la realtà. I suoi dipinti infatti hanno l’aspetto di allegorie. Gli oggetti e le figure in essi rappresentati, dall’espressa funzione simbolica, vanno interpretati, per assonanze fonetiche e mnemoniche, come messaggeri e chiavi di accesso alla biografia esistenziale e sentimentale dell’artista, la cui vita interiore fu terreno di conflitti e battaglie con il mondo circostante, luogo ben difeso dove coltivare le proprie passioni e i propri desideri. Letterato raffinato, bulimico lettore, De Pisis passa velocemente, e con un dispendio fisico oltre che cerebrale, dallo scrivere al dipingere, dal pensare filosoficamente al sentire la realtà come pittore più sensuale che mentale. L’artista ritrova la realtà nella materialità di colore e segno, nel consumarsi dell’immaginazione dipingendo; qui si incontrano il calore e il respiro della vita, l’erotismo e l’edonismo, il sesso e la carne, gli odori e i sapori. Il San Francesco è un quadro da meditazione, da guardare facendo vuoto e dandosi un po’ di quiete per raggiungere una calma interiore. Una via di iniziazione alla vera vita, all’eternità qua sulla terra in ogni giorno dell’esistenza. Si tratta di un olio su tela databile intorno al 1931. Un paesaggio italiano, costruito immaginando i luoghi attraversati dal poverello di Assisi, che viveva in perfetta armonia con la natura e amava “nella peculiare luce di Dio”. Sotto una parete rocciosa alta, incombente, si riesce appena a percepire frate Francesco, coperto nel suo saio di ruvida tela che si inchina verso un assembramento di volatili, colombi, passeri, una cornacchia e un corvo. Piccoli puntini in bianco e nero. Macchioline. In alto si vedono transitare candide nubi, appena sfrangiate in punta di pennello. Dall’alto della roccia scende una cascatella di acqua. Qui la santità è in versione lirica, sentimentale, eppure di grande respiro. Universale nel suo minimalismo poetico. Un albero, una quercia, si piega abbarbicata alla rupe. Macchie di arbusti verdastri, ciuffi di fiorellini di campo. Il lento cadere della cascata sovrasta nella quiete le parole di Francesco ai suoi piccoli amici. Difficile sapere cosa si siano detti l’uomo e le piccole creature del cielo, quel giorno. Mistero e miracolo a un tempo. Il pittore entra in punta di piedi nella scena, una delle più celebri tra quelle della Legenda maior, se ne sta lontano, in disparte. Qui la via di salvezza per l’umanità è l’arte, la poesia, la potenza dell’umiltà del poverello, la santità della natura. Un’immagine che nel nostro tempo ci serve da monito e da guida. Alle spalle dell’artista, colto e addentro alla storia dell’arte, ci sono almeno due capolavori. La Predica agli uccelli affrescata da Giotto in Assisi, dove la storia dell’arte moderna è cominciata. E il dipinto di Giovanni Bellini con San Francesco in estasi databile al 1476-78. Il frate è appena uscito dal suo romitorio scavato nella montagna, si affaccia su un vasto paesaggio, allarga le braccia contemplando il creato, si unisce a tutta quella grandiosa bellezza. In estatica riconciliazione. Almeno per me, quello di Bellini conservato a New York, nelle sale della The Frick Collection, è uno dei quadri più belli al mondo. E questo di De Pisis, così dolce e immenso, può sicuramente stare alla pari con quello. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
“Paesaggio”, di Osvaldo Licini
7:32
Posted on 21 Luglio 2020
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti.“Paesaggio”, Osvaldo Licini (olio su tela, 1928) Osvaldo Licini studia all’Accademia di Bologna, dove incontra Morandi e Tozzi. Dell’incontro con il grande pittore di nature morte e paesaggi, resta qualcosa nei suoi dipinti, soprattutto nel Paesaggio conservato al Museo Novecento. Dopo l’Accademia partecipa alla grande guerra, è ferito, ricoverato e poi congedato. Si avvicina al movimento futurista ma il suo animo è diverso, di un’immaginazione più lirica, meno convulsa. Durante la convalescenza raggiunge i genitori a Parigi e qui entra in contatto con Modigliani, Picasso, Cocteau, Soutine e si lega al gruppo degli italiani a Parigi, i così detti metechi, di stanza nella capitale delle avanguardie: De Chirico, Severini, De Pisis, Savinio e Tozzi. Fondamentale sarà per Licini assimilare dal vero la lezione pittorica di Cézanne, Matisse, Van Gogh e quella degli impressionisti e dei grandi maestri dell’ottocento che poteva ammirare e studiare al Louvre. Nel frattempo ha sposato una giovane pittrice svedese Nanny Hellströmm, e con lei rientrerà in Italia per stabilirsi definitivamente nel suo paese di origine, Monte Vidon Corrado, in vicinanza di Fermo nelle Marche. Da lì, comunque in una posizione defilata, riuscirà a restare in contatto con il mondo dell’arte italiana e internazionale. Alla metà degli anni trenta ecco un altro passaggio cruciale, Licini varca la soglia dell’astrazione. Entra in contatto con gli artisti della Galleria del Milione, con Fontana, Melotti, Rho, Reggiani e con loro espone a Torino nella prima mostra degli astrattisti organizzata da Casorati. Allo stesso tempo e con nuovo slancio torna a frequentare in brevi viaggi Parigi e si mette in contatto con il gruppo di Abstraction-Creation e conosce Kandinsky, Magnelli, Kupka. A questo punto arriva una nuova svolta, suscitata anche dal rapporto intellettuale e di amicizia con Franco Ciliberti, filosofo e storico delle religioni. Abbandonato il linguaggio astratto, più geometrico-analitico, apre al mondo degli archetipi e delle cifre simboliche, pur restando fedele a un canone aniconico. I suoi lavori, pregni di un sentimento magico dello spazio e dei segni, si popolano di figure mitiche e poetiche, e Licini si mette a creare dei cicli, quasi delle saghe e favole visive, in cui ricorrono certe figure come Olandesi volanti, Amalassunte e Angeli Ribelli. La tela Paesaggio è di una bellezza struggente. Immortala un’ora speciale, un momento di epifania indimenticabile della natura, e tutta la risonanza sentimentale che quest’apparizione porta con sé. Il paesaggio è fatto di niente e di tutto, alberi, colline, cielo, una casa è l’unico elemento che certifica l’esistenza umana. Sicuramente un paesaggio dei suoi luoghi natii. C’è qualcosa di Leopardi, c’è qualcosa ancor più di Lucrezio, c’è qualcosa della musica per pianoforte di Debussy. Sembra di rivivere la sensazione di calore e di freschezza di una giornata passata in campagna da ragazzino con le maniche corte, in mezzo ai campi e negli orti con la pelle percorsa da brividi per tutta la bellezza che ci circonda e ci appare come un angelo in un’annunciazione. Tempo, indimenticabile, in cui si è in sintonia con l’invisibile materia di cui è fatta la poesia della luce, quella particolare epifania luminosa del mondo che dona alle cose una diversa momentanea forma di esistenza. E’ frutto di una sensibile percezione, come di chi ancora guardando, osservando, resta preso nell’incanto, avviluppato nella sottile rete pulviscolare di atomi luminosi che si muovono dovunque. Il dipinto restituisce perfettamente il sentimento di quei momenti, quando si contempla il vibrare leggero dei fili d’erba e delle fronde, le ombra che si amalgamo con la calce colorata delle mura di casa, l’apparire del cielo che domina con una consistenza soffice le lontane colline, le basse montagne fittamente ricoperte di verde. Avvicinandosi alla tela si nota il modo di procedere del pittore. La realtà delle cose è restituita con piccole pennellate accostate una all’altra con variazioni tonali armoniose e calme di colore, ridotti alle qualità del verde, dell’ocra, del grigio, del rosa e del celeste. Sono gli stessi colori insostituibili della tavolozza di Morandi. Si avverte, nella composizione visiva di questo Paesaggio, una musica, una sonorità un canto sottostante. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
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