Gli O:odal nascono quando Gaia (voce) e Antonio (chitarre) si incontrano e iniziano a scrivere canzoni.
Il progetto diventa compiuto quando arrivano Edo (drums&synth) e Fabio (basso&synth) e nel 2019 iniziano i primi live, in autunno la partecipazione al Rock Contest.
I gusti, i mondi e le influenze dei quattro sono diversi ma O:odal è il riassunto che dà espressione a queste diversità. I testi sono in italiano e l’atmosfera che si crea è un misto tra l’indie e il dream-pop.

Posted on 6 Maggio 2020

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“Susanna e i vecchioni”, di Mino Maccari
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Posted on 21 Luglio 2020
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti “Susanna e i vecchioni”, di Mino Maccari (olio su tela, 1942 ca.) La presenza delle opere di Mino Maccari nella collezione Della Ragione testimonia una personalità impegnata e coinvolta nelle vicende sociali e politiche del proprio tempo. In Alberto Della Ragione bruciava, seppure dissimulata dal suo carattere riservato di elegante borghese, un’autentica passione sociale e una forma di engagement di origine più ideale ed etica che ideologica e politica, che lo portava istintivamente, ma con convinzione, a sostenere battaglie a favore e in difesa di artisti impegnati. Della Ragione si prese cura degli artisti più ribelli e irriducibili come Guttuso e Vedova, di quelli in difficoltà economiche o in pericolo per questioni razziali che ospitò per metterli al sicuro, come fece ad esempio con la famiglia di Mario Mafia e Antonietta Raphael. Fu interessato anche a personalità complesse, dalla biografia non lineare, ma di tempra intellettuale come Mino Maccari. Di Maccari, natura curiosa, estrema, irriducibile martellatore dei costumi sociali e della degenerazione politica, Della Ragione acquistò molte opere, cinque delle quali sono ancora oggi conservate al Museo Novecento. Nato a Siena da una famiglia agiata della borghesia cittadina, Maccari si laurea in giurisprudenza pur avvertendo un’innata propensione alle arti e in particolare al disegno. Uscito dalla prima guerra mondiale, inizia a sviluppare in parallelo alla sua attività forense quella di pittore e incisore, la sua grande passione che lo renderà uno dei protagonisti della cultura italiana in generale e del giornalismo in particolare. Giovanissimo è reclutato da Il Selvaggio, di cui diventerà direttore nel 1926. Lo stile delle sue prime incisioni è fortemente influenzato dall’espressionismo nordico, da Ensor e Grosz, ma anche dalle immagini di Soutine e di Rouault, da cui deriva un sarcasmo acido e amaro, un’ironia graffiante e a tratti devastante, impostata senza pruderie e senza timori per svelare vizi e difetti della società, il turpe e il volgare, l’inettitudine politica e la degenerazione morale, con prese di posizione sempre molto irriverenti e libere. Il tratto nelle sue grafiche e nei suoi dipinti è nervoso e tagliente a tratti violento e aggressivo, i colori sono squillanti e vivaci, dominati da una temperatura sempre espressionistica. Dopo la guerra ebbe compiti istituzionali e accademici importanti, prima all’Accademia di Belle Arti di Napoli, poi a quella di Roma in veste di direttore nel 1959, infine di presidente dell’Accademia di San Luca nel 1962. Merita ricordare la sua collaborazione con il Maggio Musicale Fiorentino per il Falstaff di Verdi di cui disegnerà le scene per l’edizione del 1970. Maccari muore a Roma nel 1989. Susanna e i vecchioni è una storia biblica, conosciuta anche a livello popolare, più volte fatta oggetto di interpretazioni da parte degli artisti del passato. Merita ricordare le opere di Lorenzo Lotto datato 1515 circa e quella di Artemisia Gentileschi realizzata nel 1610 circa, o nella versione ottocentesca di Francesco Hayez. Non possiamo poi non citare Susanna o L’attesa una straordinaria scultura di Arturo Martini anch’essa parte della collezione permanente del Museo Novecento. Susanna nell’interpretazione virulenta di Maccari è una donna di bordello, accerchiata da infocati vecchioni di età diversa, abbrutiti dalla fame di sesso. Con i loro sguardi sembrano violentare il corpo nudo della donna. La pittura è sfatta, come i valori morali dell’ambiente italiano a cui sembra alludere la ‘vignetta’. Un mondo simile a quello analizzato con vena distruttiva dalla pittura o grafica satirica di Grosz cui Maccari deve molto. Il tessuto figurativo si disfa lasciando emergere un impasto sporcato di colori. I volti, le espressioni sono ghigni, come di maschere orribili e orripilanti, quello che si svolge nello spazio compresso, pregno di odori e sudori, morbosi e macerati, è un’orgia, un rito deprimente, forse un sacrificio. L’arte non fa sconti a nessuno, entra senza pudore, rimorsi, sensi di colpa e se si macchia è per mostrare ferite, portandoci al disgusto delle forme per avere disgusto di noi stessi. Prendere o lasciare. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
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