SPECIALE GKN

Posted on 12 Luglio 2021

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“Natura morta”, di Giorgio Morandi
8:05
Posted on 21 Luglio 2020
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti “Natura morta”, di Giorgio Morandi (olio su tela, 1923-1925) Quando si dice “natura morta” e si fa il nome di Giorgio Morandi si parla di un silente accordo tra cose e sentimenti che torna sempre uguale e sempre diverso, come sempre identica è l’essenza delle cose, la loro forma ideale, ma sempre variato è il sentimento di chi le contempla perché la luce su di esse e in esse muta nel momento della sua epifania, e con la luce si rinnovano le sensazioni. Con le sue costruzioni così essenziali e così quotidiane, questo grande pittore ci ha portato oltre il visibile, senza mai abbandonarlo; restando, cioè, su quella sottilissima soglia che separa e lega il mondo reale con l’altro, quello invisibile. Quella di Morandi è un’immagine costruita con tocchi lentissimi di pennellate scelti per dare fisicità pittorica a un’intensità emotiva, a una fenomenologia di sentimenti, che si propaga nello spazio e si materializza negli oggetti tramite la luce. Una luce che ci appare pregna in ogni sua particella di quanto di umano si distacca dall’animo del pittore per depositarsi e assolutizzarsi in una dimensione formale-visiva che è appunto una dimensione metafisica e spirituale, costruita con lentezza e concentrazione, senza urti né accelerazioni, senza agitazione, turgidezza o nervosismo ma adagio, adagio con moto e sentimento, come se le singole pennellate fossero note musicali di una composizione per clavicembalo ben temperato. Guardando la Natura morta conservata al Museo Novecento, un dipinto datato 1928, si ha la certezza di stare davanti a un capolavoro. Quanto di assoluto e di particolare s’immortala in quell’immagine va diretto a colpire nel segno, nel punto di una congiunzione visiva d’intelligenza e sentimento, che è poi quella di eternità e divenire, di assoluto e relativo. Non possiamo che dire: Ecco questa è arte, questo deve fare l’arte. Deve farci credere all’immortalità e perennità del sentimento dell’epifania dell’assoluto nel reale, della verità del mondo nel momento, farci illudere dell’esistenza dell’assoluto e dell’imperturbabile dietro la presenza visibile delle cose. Quello che stiamo contemplando è lì, in un interspazio, in una dimensione quantica, dove la materia è fatta di risonanze e vibrazioni, energia che non si disperde, che non si contamina, e che resta al contrario pura nella sua essenza, aderente nella sua immanenza. È un mondo, quello di Morandi, in cui i soggetti si riducono all’essenziale per girare al minimo. Ecco perché la sua arte ci appare come azione estrema, quando giunta al limite di un cammino che altri avrebbe condotto all’astrazione, si ferma senza arretrare, avendo scelto da sempre una forma di gnosi pittorica che, estraendo dalla realtà la verità immota, giunge a perpetuare l’immagine di un oggetto nelle costanti variazioni sentimentali della forma-colore. Morandi per Longhi sceglie soggetti umili per dire poeticamente la verità: oggetti e luoghi che, isolati dal rapido corso del tempo e dal caos del mondo, restano, tra le mani dell’artista come “simboli necessari, vocaboli sufficienti ad evitare le secche dell’astrattismo”. Oggetti di casa, elementi affettivi, paesaggi contemplati dalla finestra, così dimessi e modesti da apparire remissivi a un linguaggio metafisico cui è restituita lentamente la luce dell’immortalità. Un farsi evento dell’immagine nell’istante in cui la mimesi conosce il suo tramonto, la sua cecità. Morandi è un eroe del novecento che ha saputo sconfiggere la morte, la violenza, l’entropia, restando sul posto, senza far parlare di sé con azioni titaniche o trasformazioni mostruose. Non è entrato nella storia dell’arte con il passo e l’invadenza né di Picasso né di Pollock. La grandezza di Morandi sta in una caparbia e umile lotta consumata fino alla fine per la vittoria dell’umanità contro il nullificante nulla ,così lo chiamava Hegel; una vittoria portata a casa con i soli mezzi dell’arte che nell’animo dell’artista può accordarsi nella sua giornaliera battaglia con una intensa capacità di ascolto e di concentrazione che è quella della poesia. Suo compito era raggiungere la verità del mondo senza distruggere l’emozione per la bellezza insita nel suo apparire, o con le sue parole: “ Quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose”. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
“Giovane donna”, di Carlo Levi
8:56
Posted on 21 Luglio 2020
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti “Giovane donna”, di Carlo Levi, (olio su tela, 1934) Medico e pittore Carlo Levi è noto al grande pubblico soprattutto come scrittore e per il suo impegno politico. I suoi più celebri romanzi sono: Cristo si è fermato a Eboli e L’orologio, dove esprime al meglio la sua visione del mondo, con un’attenta analisi delle condizioni di vita e culturali degli italiani, prima del boom economico. Tramite Piero Gobetti, di cui era amico dalla gioventù e con il quale condivideva la passione politica e l’antifascismo, Levi conobbe il pittore Felice Casorati, tra i maggiori esponenti del Realismo Magico. Fu incontro decisivo per dedicarsi con convinzione all’arte. Nei primi anni venti Levi, raggiunse Parigi, dove potette guardare dal vivo gli impressionisti, scoprire Modigliani e Matisse, la pittura dei Fauves. Con Chessa Menzio e Paolucci e altri condivise la volontà di maggiore libertà creativa e linguistica, rispetto alle costrizioni di scuole e accademie, e con loro esporrà in svariate occasioni tra il 1929 e il 1931. Per le sue idee politiche e le sue attività, Levi viene catturato e spedito al confino in Lucania dove rimane dal 1935 al 1936. Durante questo periodo si dedica alla pittura e al disegno, avendo modo poi di riflettere sulla storia sociale italiana, sulle dinamiche e i rapporti tra le classi, tra nord e sud, tra mondo industriale e civiltà contadina. Negli anni del dopoguerra, aderisce al Fronte nuovo delle Arti e diventa senatore della Repubblica negli anni Sessanta. Muore a Roma nel 1975. Giovane donna è dipinto da Levi nel 1934. Vi si riconosce una giovane donna, ritratta a mezzo busto. Il braccio sinistro è steso sulla testa. E’ un gesto comune nell’arte, ripetuto tante volte dalla modella davanti al pittore e poi di fronte a una macchina fotografica. E’ una giornata calda, lo conferma la scollatura della camicia a manica corta. I colori sono giallo, rosa, verde, azzurro e un po’ di grigio a confondere le acque. Lo sfondo suggerisce un “en plein aire”, un ritratto all’aria aperta, eseguito con una sprezzatura materica per dare voce al tumulto della sua vita interiore. La testa è reclinata, come per tedio, in un torpore femminile dai risvolti malinconici, o forse solo per vezzo, magari per alludere a un prima o dopo sentimentale, a un appagamento dei sensi. Levi non cerca di riprodurre la realtà, ma di crearne una nuova, un’entità colma di vita, che gode di una esistenza propria e che ad ogni pennellata, ad ogni tocco o stesura della materia si manifesta con una qualità e intensità pittorica che non è più da valutare in base alla fedeltà verso la cosa riprodotta quanto nell’essere equivalente allo stato d’animo di cui è ora il linguaggio. La qualità dell’immagine non sta nella corrispondenza tra soggetto e oggetto; c’è una ridondanza, un’eccedenza figurale che appartiene alla materia e al gesto del pittore, ormai intenzionato a essere strumento di trasmissione di altri valori rispetto al solo vedere, alla ricerca di una stesura pittorica come forma di linguaggio corrispettivo, a quel mondo interiore che trasmetta la verità dei sentimenti con la pittura. Il ductus, si fa sintomo di una relazione con il suo soggetto, che nel caso di Levi è relazione di tipo amoroso, compassionevole. Levi ha una grande passione per la vita e il vissuto, come hanno notato Calvino e Sartre. Il modo, dolce e carezzevole, con cui opera il pittore, condiziona la riconoscibilità dell’immagine, che tende a perdere i contorni figurativi, a non focalizzarsi sull’imitazione, quindi sul possesso del fantasma, quanto sulla tracciabilità della presenza, cioè sulla trasmissione di valori tattili da sguardo a corpo, sull’equivalenza tra gesto e sensazione. Siamo già oltre l’arte figurativa tradizionale con un piede nell’arte informale e gestuale. Se confrontassimo la stesura pittorica del quadro di Carlo Levi con uno di Giorgio Morandi potremmo cogliere il differente modo di stare dentro la vita di entrambi . Levi accetta di farsi aggredire dalla vita, Morandi si trattiene sempre a una certa distanza. La sua materia pittorica è sensibilizzata quanto quella di Morandi, tuttavia c’è in Levi un affondo maggiore, una partecipazione al calore della vita, alla tensione emotiva che non turba il pittore bolognese, una passione per la vita nell’altro che si trasmette nell’immagine pittorica attraverso la stesura dei colori, il modo in cui le forme, i lineamenti, la posa è modellata per restituire il flusso dei sentimenti e delle sensazioni. E questa prossimità agli altri, alla vita interiore immersa nella storia che fa di Levi un pittore e uno scrittore estremamente attuale, ancora oggi comprensibile e prossimo al nostro sentire. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
Case Popolari: il sociale che fa rete – Puntata 5 – 21 Luglio
16:13
Posted on 21 Luglio 2020
Illustrazione delle modalità e degli strumenti di sperimentazione introdotti dal progetto “Educazione all'abitare e alla cittadinanza”. In diretta dallo studio di Controradio il presidente nazionale di Federcasa e di Casa Spa Luca Talluri e in collegamento da Milano Valentina D'Addato, project manager. Conduce Chiara Brilli.
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