Posted on 6 Luglio 2020

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“Cavallo” di Marino Marini
8:01
Posted on 21 Luglio 2020
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti “Cavallo”, di Marino Marini (bronzo, 1937) Al museo Novecento, una sezione della collezione permanente s’intitola Cavalleria. La scelta del titolo è stata ovviamente motivata dal soggetto ricorrente nelle opere presentate: il cavallo, da solo o con il cavaliere. Ne sono parte, il Nitrito in velocità di Fortunato Depero, i Cavalli Marini, una ceramica dipinta di Lucio Fontana e Cavallo, un bellissimo bronzo di Marino Marini del 1937 circa. La nostra scultura di Cavallo si staglia potentissima nello spazio assumendo quasi il ruolo magico di protettore, di guardiano. Esprime forza e fierezza, fedeltà e grazia, energia e indomita libertà. Sembra vivere da sempre, prima delle civiltà classiche, figlio di un tempo anteriore, di comunicazione a pelle tra uomo e animale, consumato in spazi liberi, nel bello e brutto tempo, in pace e in guerra. Porta su di se la fatica con grazie ed eleganza suprema. Sta immobile sulle sue esili, ma salde zampe, pronto a nitrire o scattare prima al trotto e poi fiero e felice al galoppo. Parlare dell’autore, Marino Marini, è parlare di uno dei grandi dell’arte moderna non solo italiana ma internazionale. Marini, nato a Pistoia e morto a Viareggio, è ben conosciuto in tutto il mondo, quale grandissimo scultore di figure arcaiche e modernissime a un tempo. Celebri le sue Pomone, simboli di fecondità primitiva e inconscia, i suoi Miracoli, ultime meditazioni sulla drammaticità della storia e dell’arte, i suoi Cavalieri, protagonisti di una visione dialettica natura-tecnologia, uomo-macchina, e pure per i suoi equilibristi, giocolieri e ballerine, figure del circo e del teatro con le quali Marino dialoga con un tema caro al primo novecento di Picasso e dei Ballets Russi, di Severini e Genet. Non possiamo però non citare anche la grande produzione ritrattistica, che fa di Marino Marini uno dei grandi protagonisti del genere. La vita di Marino si è spesa tra Firenze, perché in gioventù studia all’Accademia di Belle Arti, Parigi dove si reca giovanissimo nel 1919 e dove conosce l’opera di Maillol e Bourdelle, di Rodin, oltre a quella di Picasso; in seguito Monza, dove è chiamato a insegnare da Arturo Martini alla scuola d’arte della Villa Reale. La conoscenza di Martini è stata di fondamentale importanza per Marini, per capire il linguaggio arcaico e quello etrusco, la poesia e l’intellettualismo nella scultura. Dagli inizi degli anni quaranta e per tutta la sua vita, Marini vivrà a Milano salvo nuovi soggiorni a Parigi, viaggi in America e nel Nord Europa, e spesso a Forte del Marmi, dove passerà molto tempo tra cave e fonderie e a contatto con la natura e il mare. Il Cavallo, esposto al Museo Novecento, è sempre lì in posa, elegantissimo nelle sue forme, nell’ampio volume del corpo, alleggerito con una linearità di profilo che dona grazia all’animale. Fuori dalle teorie e dalle diatribe linguistiche, dai rigidi formalismi di certe avanguardie, Marini va cercando una forma che sia colma di pensieri antichi, di esperienze primordiali, di una grazia superiore che è poi il dono che fa la poesia alle invenzioni artistiche. Così, il Cavallo di Marini, vive fuori del tempo, ha qualcosa di divino; eppure è di questo mondo, ha vissuto con noi da sempre. E’ una presenza che esprime nelle forme plasmate con delicatezza e sicurezza anatomica tutta la sua naturale libertà e alterità, eppure è figura plastica fortemente umanizzata. Per Marini l’animale partecipa della vita dell’uomo da tempi remoti, prima della storia, e dell’uomo rispecchia le emozioni, ne conosce i moti segreti dell’anima. Passando in galleria, è veramente difficile trattenersi dallo sfiorare quel corpo di bronzo che respira, che trema di sensazioni a fior di pelle e che risente di vita vissuta e di contatti spirituali tra esseri così fraterni, anche se così diversi da sempre. E’ intoccabile non solo per ragioni di sicurezza e conservazione, ma per la sua aristocratica superiore provenienza. Se ne sta li, come sempre anche in questi giorni, nel museo che è chiuso a tutti, come guardiano fedele che vi aspetta. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
La Firenze di Dolce & Gabbana rinata o usata?
3:24
Posted on 3 Settembre 2020
Firenze rinata oppure usata? E' la domanda che ci poniamo puntualmente  ad ogni evento che vede la presenza in città di grossi nomi della moda o dell'industria che utilizzano un pezzo di città come - per usare il loro linguaggio - location per i loro eventi. I sostenitori di queste iniziative sono spesso istituzionali o appartenenti a categorie che sperano di trarre dall'evento un beneficio diretto. I detrattori sono invece intellettuali o politici o soggetti - per usare il loro linguaggio - della società civile che accusano le istituzioni di svendere la città.  Se fossi il Sindaco devo ammettere che avrei anche io la preoccupazione di tenere sempre la città sul palcoscenico mondiale, di darle lustro, visibilità, di raccontarla come una città aperta agli investimenti ed agli eventi, anche mondani.  C'è una cosa importante che va ricordata: ci sono centinaia di fiorentini che in questi giorni di eventi D&G sono tornati a lavorare di nuovo per la prima volta da mesi. Catering, allestimenti, trasporti, servizi, etc. etc. Va poi sottolineato il fatto che questi eventi hanno significato tanto il comparto moda e artigianato - importantissimi per la nostra città, ben più del famoso turismo. Comparto drammaticamente fermo da mesi che si è ritrovato ad avere uno spot da 5 milioni pagato da un privato. Va bene. D'altra parte, le ragioni dei detrattori sono comprensibili. Perché? Forse perché se gli eventi D&G di questi giorni si fossero svolti durante i mitici anni '80, la città se ne sarebbe accorta e non avrebbe vissuto questi giorni con un profondo sentimento di esclusione. Le feste, per capirci (Covid permettendo) si sarebbero svolte in piazza. L'impressione che se ne trae - legittima e discutibile allo stesso tempo - è che spesso la città venga usata come un grade set, un palcoscenico per qualcuno che in fondo, alla città - fatti salvi i giorni dell'evento - lascia poco o niente. Sia in termini economici che di ricadute sulle attività produttive della città stessa. Alla fine sembra che al banchetto del grande evento apparecchiato dalla discutibilissima nobiltà fiorentina, noi, il popolo, se ne rimanga sempre esclusi.  In ogni caso, fino al prossimo evento, il dibattito resta aperto. r.p. P.S. A proposito di esclusione, l'idea di escludere la stampa locale dalle conferenze stampa non è stata proprio geniale - ma è noto che su questo versante D&G non hanno mai brillato. Sentiamo le voci raccolte da Monica Pelliccia
“Perso 90%,rimaniamo aperti facendo quel poco che è possibile”, fornai, pastai, artigiani del centro
3:16
Posted on 12 Novembre 2020
Tra rischi di chiusure, perdite economiche e personale in cassa integrazione.: le botteghe del centro che rifornivano la filiera alberghiera e i negozi di souvenir dopo che la Toscana è passata in zona arancione.
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