Sport e Genere.il webinar il 20 gennaio 2021 alle ore 14:30. Parlano Avv. Sibilla Santoni – Presidente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Firenze e Avv. Marina Capponi – Componente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Firenze.

Posted on 19 Gennaio 2021

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“Il gelsomino”, Ottone Rosai
7:46
Posted on 21 Luglio 2020
“L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti. “Il gelsomino”, Ottone Rosai (olio su tela, 1938 ca.) Per quanti di voi saranno passati dalla stazione di Santa Maria Novella sarà capitato magari di entrare all’interno della Libreria Feltrinelli, e magari si sarà accorto della presenza, sopra le casse, di due grandi quadri che rappresentano un classico paesaggio delle nostre colline. Di quelle antiche e prosperose colline che si distendono intorno Firenze; belle, rotonde e di una certa altezza, punteggiate di olivi, vigne, cipressi, di casolari raggruppati come una mandria, e campi coltivati ordinatamente e distribuiti come pezze di altro colore tra le solide terrazze. Questi due dipinti così monumentali sono opera di Ottone Rosai che con Vasco Pratolini ha reso immortale Firenze, così com’era nei primi decenni del XX secolo, con le sue architetture, le sue piazze, i ponti e le vie dai bei nomi, spazi metafisici e popolari. Rosai è come un morbido macigno. Basta guardare i suoi autoritratti. Vuol dare l’idea di un uomo di umore nero, un introverso, attaccabrighe, un burbero, anche violento, ma poi vi si legge una qual tenerezza e bontà d’animo che è di un uomo all’antica, intelligentissimo, sensibilissimo, ma del popolo. Rosai nasce a Firenze il 28 aprile del 1895. E di Firenze è forse il più grande cantore. Si forma all’Accademia di Belle Arti, dove diventerà professore nel dopoguerra. Vive la sua giovinezza in oltrarno, nel quartiere di Santo Spirito, in quella via Toscanella resa celebre dai suoi dipinti. Decisivo è l’incontro con i Futuristi, anche se Rosai ha un altro spirito, cerca un diverso linguaggio figurativo, lento e solido come le parole e i sentimenti più antichi degli uomini sulla terra. Il suo sarà un primitivismo di matrice umanistica toscana, quella della pittura del trecento e quattrocento. Con la sua arte ci ha raccontato la vita urbana, quella dei mercati, delle trattorie e delle bettole, delle partite a carte e di toppa, dei concertini, selezionando per strada tipi fiorentini straordinari e veridici, i suoi celebri “omini”. I suoi rapporti con il fascismo, cui aderì inizialmente per poi prendere le distanze, furono difficili e complessi. L’evento che più di ogni altro ha però segnato la vita di Rosai è tuttavia la morte del padre, causa di depressione e di profonda tristezza, sentimenti che non abbandoneranno mai l’artista. Rosai è stato anche un notevole scrittore, i suoi romanzi le sue lettere, hanno lo stesso calore e timbro della sua pittura. Basta qui ricordare Via Toscanella e Libro di un teppista. Una veridicità non banale né ingenua, ma solida e moralmente vicina alla verità del popolo, ai sentimenti universali che restano nel passare delle stagioni e degli stravolgimenti. Il Gelsomino è tutto questo. E’ come un canone che ritorna variato a seconda del punto in cui la veduta è stata fermata da Rosai. La via si trova sotto Poggio Imperiale, si snoda parallela a Via Senese, ed e’ praticamente immutata. Dietro un muro, s’intuiscono una serie di orti e giardini, in alto una bella villa, un caseggiato, costruito con quella sapienza architettonica semplice che non viene mai a noia. Chiunque guarda questo dipinto può dire senza sbagliarsi: “ Questa è Firenze, la Toscana”. Rosai in questi giorni può essere il giusto viatico per girare da casa, senza uscire, per riconsiderare certe vie e angoli di Firenze. Via Rimaggina, via San Leonardo, dove era lo studio del pittore, Via delle Lame, Porta Romana, San Miniato al Monte, via di Santa Margherita a Montici, le case del Madonnone, la chiesa di Candeli. Passeggiate da fare a piedi assaporando l’aria, magari verso il tramonto, quando saremo di nuovi per strada tutti assieme un po’ più sereni e fiduciosi. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
“Demolizioni”, di Mario Mafai
7:27
Posted on 21 Luglio 2020
L’arte alla radio, con il direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti “Demolizioni”, di Mario Mafai (olio su tela, 1932). Mafai è punta di diamante nella collezione Alberto Della Ragione, assieme a Guttuso e Birolli, a Scipione e Cagli. La loro presenza è segno di un interesse per un’arte vicina alla vita delle emozioni e dei sentimenti, a un’arte dell’esistenza ma anche del sogno, che non si piegasse troppo al realismo né si distaccasse dalla realtà, soprattutto quando questa è realtà violentata, dura, portatrice di dolore e sofferenza, quando gli incubi e i mostri della ragione si aggirano per le piazze e le strade. La loro pittura è sottesa d’impegno politico e sociale in difesa dell’uomo, dei suoi valori e delle sue utopie senza farsi manifesto ideologico. Roberto Longhi riconoscerà negli esponenti della così detta Scuola Romana, che vedeva protagonisti assieme a Mafai anche Scipione, un genere di espressionismo colto, neo-romantico, trattenuto nei limiti di una poesia che non porta a distruggere la tradizione figurativa a favore di segni e superfici materiche informi, macerate e sconvolte dall’azione del profondo, delle piaghe inferte e del male ricevuto, affiorate senza volerle o poterle più contenere e ricondurle nell’ordine di una mondo figurativo più tradizionale. Della relazione, tra il collezionista Della Ragione e l’artista, tra l’uomo sensibile e l’ingegnere appassionato, rimangono tracce evidenti nella collezione, donata alla città di Firenze ed esposta in parte al Museo Novecento. Sono ben venti i dipinti di Mafai in dotazione del Museo e tra questi Demolizioni. Il quadro raffigura un’immagine presa in diretta degli abbattimenti effettuati in Roma durante i primi anni del regime fascista, per ampliare i Fori Imperiali, secondo una progettazione urbanistica sottomessa ai sogni di grandiosità del regime. Demolizioni si presenta come una pittura di cronaca, immagine che trasuda sentimenti e presagi. Le case sventrate, per le ambizioni retoriche di un’Italia, destinata a percorrere con i fasti di un nuovo imperialismo i giorni cupi e feroci della dittatura più violenta e disumana che la portarono a vivere la tragedia della guerra, i bombardamenti e le stragi prima della liberazione, sono un emblema. Il dipinto nasce per inquadrare e ricordare quanto provato alla fine di un’epoca, l’ottocento, che coincide anche con la fine di una stagione familiare. Eppure non riusciamo a non vedere altro, a giocare il senso del dipinto in anticipo. “Noi assistiamo continuamente alla demolizione di tutto ciò che è appartenuto all’Ottocento ed io ne sono stato testimone quando ho visto la mia vecchia casa cadere e i muri crollare ad uno ad uno, le camere aprirsi un attimo alla luce e poi diventare calcinaccio e polvere“. Così scriveva Mafai rammentando la distruzione della sua casa durante í lavori per aprire la via dei Fori Imperiali. Dietro il tema delle Demolizioni scopriamo allora un ricordo personale e doloroso. Nel 1937, che è l’anno d’esecuzione del dipinto conservato al Museo Novecento, Mafai espone alla Galleria della Cometa ed è presentato in catalogo da Emilio Cecchi. Assieme alla serie dei Fiori secchi appare anche quella delle Demolizioni. Il critico suggerisce una lettura più formale dei dipinti, trovandovi una soluzione più asciutta e depurata del suo espressionismo iniziale. Pure Cesare Brandi, rimane colpito da quei dipinti e nel 1939 commenta: “Erano le rovine di Mafai, non i nobili acquedotti o i gruppi di sulfuree colonne, ma povere stanzucce borghesi sviscerate nella carta di Francia a brandelli, nelle fumate a cono dei camini; erano cellule infrante, ma ancora calde d’abitato, così da parere una delicatezza sbirciarle, così sventrate, dal di fuori “. Poi quelle immagini di una cronaca che riguarda la nuova identità urbana di Roma in quegli anni, si caricheranno di altri sentimenti e ricordi, con la sovrapposizione di una ben più violenta e tragica realtà. Questa è la forza dell’arte, mostrare un luogo e testimoniare un tempo che già prefigura altro. Riconoscere nel presente i segni del futuro. Copyright Sergio Risaliti Immagine: Museo Novecento, Raccolta Alberto Della Ragione. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini. Montaggio video: Antonella Nicola
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